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USB: operai agricoli senza assegno di disoccupazione. NASPI uguale per tutti ma non per il settore agricolo

Roma -

Dal 1 gennaio 2017 secondo quanto previsto dalla legge Fornero sul lavoro del 2012 cosi come già previsto dalla Legge 15 giugno 1984, n. 240 (G.U. n. 168 del 20 giugno 1984), l'indennità che spettava ai lavoratori licenziati da imprese industriali con più di 15 dipendenti o commerciali con più di 50 è abrogata. Vale a dire che dopo 25 anni dall'istituzione del sussidio che in alcuni casi (mobilità lunga verso la pensione) poteva durare fino a 7 anni in caso di lavoratore anziano licenziato al Sud, l'unico assegno di disoccupazione resta la Naspi.

Soltanto coloro che erano stati messi in mobilità entro il 2016 continuano a percepire l'assegno, mentre non sarà possibile erogarne di nuovi.

Si tratta dell'ennesimo schiaffo agli operai agricoli, già sfruttati e con giornate di lavoro non sempre dichiarate, da parte di chi continua a sventolare il “made in Italy” che regge proprio sulla fatica di molti coloro che vengono privati ingiustamente da un diritto. Cosi la NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego) non si applica, come nemmeno prima l’ASpI e la Mini ASpI, agli operai agricoli a tempo determinato ed indeterminato per i quali continua a trovare applicazione la disciplina dell’indennità di disoccupazione agricola.

Il lavoro agricolo diversamente da una convinzione comune, non deve più essere esclusivamente associato a lavoro saltuario o tantomeno precario, ricordando la significativa diffusione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato e di altre forme che, sebbene inquadrate contrattualmente nell’ambito del tempo determinato, possono essere considerate, a pieno diritto, stabili e strutturali.

La tradizionale indennità di disoccupazione agricola sebbene svolge la propria funzione di ammortizzatore sociale per i ciclici periodi di inattività dei lavoratori del settore non contempla assolutamente le situazioni di crisi aziendali che determinano la riduzione definitiva dell'occupazione.

L'USB ritiene inammissibile che la terza potenza agricola dell'Unione Europea, per fatturato secondo i dati Eurostat, continui a non contemplare le condizioni oggettive degli addetti sia schiavizzati nelle diverse forme di caporalato, che regolarmente assunti.